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  • Writer's pictureComunità CRFC

Parole non dette: cosa ci raccontano i nostri CRFC 



Unpopular opinion: il tuo CRFC ti parla e tu non lo stai ascoltando. 

E’ una provocazione? No, non credo che lo sia. Se ti senti provocat* parliamone, se ti va! 


Ciò che intendo è che ogni sintomo parla (e se sintomo è una parola troppo forte, chiamiamolo segnale del corpo): siamo organismi perfettamente funzionanti, ogni singolo elemento è stato selezionato accuratamente dalla natura per assolvere ad una precisa funzione. 

Perché dunque selezionare e rinforzare un comportamento se questo provoca soltanto dolore e sofferenza? Forse ci sfugge qualcosa. 


Quali sono i momenti in cui strappi, pizzichi o mordi di più? E’ preoccupazione, tristezza, tensione, angoscia, paura, agitazione? “Sì” - dirai - “ma lo faccio anche mentre leggo, mi rilasso, sto al telefono, sto al pc”. 


Certo, capisco bene la confusione di chi cerca risposte annaspando, guardandosi intorno con aria confusa e spaesata, senza sapere bene dove guardare; so quanto fa male e che forza immensa serve a fermarsi. Per questo sono convinta che tutt*, provando ogni giorno a trovare una risposta, siamo molto coraggiosi. 


Ecco la mia ipotesi: ogni persona con CRFC ha ripetutamente e aggressivamente provato ad opporsi ad esso, spesso fallendo. Ti imponi di smettere, per qualche giorno funziona, poi per qualche motivo poco rilevante lo rifai e recuperi con gli interessi anche i giorni passati a “fare i brav*”. Ecco immagina quel CRFC come un bambino che richiama la tua attenzione: lui chiama e tu ti volti dall’altra parte, piange e ti allontani, urla e ti tappi le orecchie. Poi ti giri, ti avvicini e ti prende a pugni piangendo. 


Possiamo cambiare approccio: posto che rimane un comportamento che vogliamo diminuire o estinguere più possibile perché non ci fa sentire a nostro agio, potremmo chiederci dov’è la piccola parte funzionale del CRFC ergo, a cosa ci serve? Non sarebbe sicuro rimuovere un comportamento con una funzione così forte se non abbiamo nulla con cui sostituirlo. Per il nostro organismo, “piuttosto che niente, è meglio piuttosto.” 


Il primo passo verso una risposta è esplorare più a fondo le funzioni che questo comportamento potrebbe avere nella nostra vita. Una possibilità è che il CRFC svolga una funzione di autoregolazione: nei momenti di grande stress o ansia, strappare i capelli o pizzicare la pelle potrebbe essere un modo per cercare di calmare l'intensità delle emozioni provate, un tentativo di ristabilire un equilibrio interiore. Anche se sembra controintuitivo, questi comportamenti potrebbero agire come una valvola di sfogo temporanea per tensioni altrimenti troppo opprimenti. 


Ma c’è di più. Questi gesti possono anche servire come una forma di autostimolazione in momenti di noia o inattività, quando la mente cerca stimoli; possono diventare rituali inconsci, quasi come tic, che si manifestano in momenti di profonda concentrazione o assorbimento. Questa dimensione rituale mostra quanto il comportamento sia radicato e automatizzato, rendendolo così difficile da interrompere.


Non vediamolo solo come un'abitudine da eliminare, ma un segnale che qualcosa nel nostro sistema emotivo necessita di attenzione. Accogliere questo segnale con curiosità e compassione limitando più possibile il giudizio, può essere il primo passo verso un cambiamento duraturo. 


Come ti senti all’idea di valutare un approccio più rispettoso?


 

Editor: Serena, psicoterapeuta e volontaria nella nostra comunità CRFC, ci invita in un viaggio intimo nel cuore dei comportamenti ripetitivi focalizzati sul corpo (CRFC), un territorio che conosce profondamente sia professionalmente sia personalmente. Vivendo in Italia e combattendo lei stessa la tricotillomania, Serena porta una prospettiva ricca e poliedrica, tessendo insieme la sua esperienza personale con la sua pratica terapeutica.

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